Primo venerdì del mese ed è immancabile l’appuntamento con i dati relativi al mercato del lavoro americano.

I NFP sono da sempre un indicatore macro economico importantissimo per determinare lo stato di salute dell’economia americana, valutando non solo quanti nuovi posti di lavoro sono stati creati, ma anche il tasso di disoccupazione, il tasso di partecipazione e i salari medi.

Possono sembrare dati decorrelati tra loro, ma non è così!

La sola creazione di nuovi posti di lavoro non è sufficiente ad avere un quadro completo di cosa accade nel mercato del lavoro, dove il tasso di disoccupazione, rende forse un’idea più chiara di quanto il tessuto economico lavorativo di un paese sia davvero in una fase di espansione.

Fino all’ultima riunione della FED del 2021 il raggiungimento della piena occupazione, con il targhet di disoccupazione ai livelli pre-pandemici era una necessità per giustificare politiche economiche più aggressive, poi è arrivata l’inflazione, che non ha più fermato la sua crescita e con lei sono cresciute le preoccupazioni della FED di non riuscire a domarla, fino a giungere alle ultime 2 riunioni, dove la FED ha dichiarato apertamente che la necessità di chiudere il QE e partire con politiche più aggressive, oramai prescinde dalla piena occupazione.

Detto questo, potrebbe sembrarci inutile seguire i dati dei NFp, ma cosi non è, perché altro dato in uscita oggi, è relativo ai salari medi orari, che sono forse il vero focus di questo nuovo anno, e potenzialmente il vero nuovo motore per la tenuta dell’inflazione.

Un ampia domanda di forza lavoro, derivante da una sostenuta domanda aggregata, e dalla necessità di innalzare i livelli produttivi delle aziende, hanno generato una corsa al rialzo dei salari già nel regno unito ,e negli usa.

Il potere contrattuale dei lavoratori, ora più che mai è forte, data non solo l’alta inflazione, che genera sempre rivendicazioni salariali, per i consueti adeguamenti, ma anche per la scarsità di forza lavoro a causa della pandemia e delle sue ripercussioni.

Un innalzamento strutturale dei salari, potrebbe essere un segnale chiaro di inflazione sostenuta nel tempo, e la necessità quindi per le banche centrali di intervenire rapidamente nel raffreddare l’economia.

Venendo ai mercati finanziari, ieri hanno dato un timido accenno di storno, dopo le pesanti perdite di mercoledì, in seguito alle dichiarazioni del FOMC, e la volatilità continua a rimanere tutto sommato sostenuta, in attesa delle prossime dichiarazioni della FED di fine mese.

Il comparto obbligazionario mantiene alti i rendimenti, con gli operatori che hanno perso il sostegno della banca centrale, oramai decisa a procedere con l’alleggerimento di bilancio.

Il dollaro americano resta forte, special modo contro le commodities currencies, che non trovano spunti rialzisti validi, e mantengono il loro profilo di debolezza in linea con il chiaro mood di risk off attualmente presente sui mercati.

Vedremo se il mercato oggi potrà cambiare il suo assetto sulla pubblicazione dei dati.